Quando il Cyberpunk Suonava Italiano
Quando il Cyberpunk Suonava Italiano
BLOG di Paolo Borzini
Non è stata solo la lettura a formare il mio gusto per la fantascienza, ma anche la musica. Frequentavo la prima superiore quando, grazie a un compagno di classe, scoprii le canzoni di Alberto Camerini. Nell'album Comici Cosmetici è contenuta una canzone dal titolo Neurox, un brano affascinante e sorprendentemente anticipatore del genere cyberpunk — ben prima che quello che considero il padre del genere, William Gibson, pubblicasse Neuromante.
Camerini, per me, è stato un genio visionario. Con la sua musica ha aperto le porte di un mondo fatto di robot, androidi, connessioni, giocattoli a pile... ma anche di vuoto interiore e di quell’eterna ricerca dell’amore che, in fondo, è la struttura portante dell’essere umano. Oltre ad aver ispirato il mio nickname, Neurox66, questa canzone ha influenzato profondamente alcuni miei racconti e poesie.
Ricordo ancora la sensazione di quel primo ascolto: i suoni sintetici, le parole visionarie, le immagini che evocavano un futuro diverso da quello dei libri scolastici o dei cantautori dell'epoca. Camerini non suonava come gli altri. Era teatrale, surreale, e al tempo stesso straordinariamente moderno. Neurox non era solo una canzone: era un racconto. O meglio, un frammento di universo. E io ci entrai dentro.
In pochi minuti, Neurox mi mostrava un essere corazzato ma fragile, forse un giocattolo, forse un androide, forse un bambino cresciuto troppo in fretta. Parlava di paura, di solitudine, di bisogno d’amore. Quello che Gibson avrebbe fatto con le parole, Camerini lo aveva già fatto con la musica e una manciata di versi essenziali.
Col tempo, Neurox è diventata una sorta di chiave segreta, una vibrazione nascosta che ritorna in molti dei miei racconti. In Connessioni, ad esempio, il protagonista Ermy vive chiuso in una stanza, isolato dal mondo reale, immerso in una realtà virtuale psichedelica. Anche lui è una creatura sospesa tra umanità e macchina, tra desiderio e smarrimento. Il suo frigo è vuoto, come il cuore di Neurox. La stanza non ha porte, come se fosse stato programmato per non uscire mai.
Quando, ormai tanti anni fa, ai tempi delle BBS e dei computer a 8 bit, cercavo un nickname per firmare i miei programmi, non ebbi dubbi: Neurox era già parte di me. Il numero 66 richiama il mio anno di nascita, ma anche un’epoca in cui tutto era ancora da scrivere, da sperimentare, da immaginare. Neurox66 è il mio modo di rendere omaggio a quel brano, a quel tempo e a quella scintilla. Una scintilla che ancora oggi brilla, nascosta in un cuore meccanico, tra vapore e circuiti.
Non so se Alberto Camerini pensasse a tutto questo quando scrisse Neurox. Ma so cosa ha significato per me. È il suono di una macchina che sogna, di un circuito che pulsa, di un’anima artificiale che vuole solo essere compresa. È il seme da cui sono nati molti dei miei mondi. E per questo, gli sarò sempre grato.
Paolo Borzini
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