36 anni e non sentirli: il mio CPC al BissaBook

Questo blog era nato anni fa per parlare di computer. Anzi, di retrocomputer e di programmazione.

Nel tempo si è evoluto: dopo aver scritto per anni di macchine che – chi più, chi meno – hanno segnato l’epoca informatica tra la fine degli anni ’70 e l’inizio dei ’90, e dopo aver raccontato lo stato dei miei progetti informatici (soprattutto compilatori e interpreti), ho iniziato a condividere anche pensieri, riflessioni e letture accumulate nel corso del tempo.
Oggi però voglio fare un passo indietro.
Anche perché, durante l’incontro “Incontra l’autore” all’interno del BissaBook, oltre alle domande sul libro, molte persone mi hanno chiesto informazioni sullo splendido Amstrad CPC 6128 Plus che avevo portato con me. E che – piccola nota d’orgoglio – ha funzionato per tutte le tre ore (e oltre) in cui sono rimasto al tavolo. Un computer con 36 anni di vita, mica uno di quei gingilli moderni che si piantano appena aggiorni il sistema operativo. E con lo stesso editor di testi che usavo all'epoca per scrivere.
Ma partiamo dall’inizio.
L’azienda Amstrad fu fondata da Sir Alan Michael Sugar, e il nome stesso – AMS + TRADing – ne porta ancora l’impronta.
Prima di entrare nel mondo dei computer, Amstrad si occupava di elettronica di consumo: Hi-Fi, televisori, piccoli elettrodomestici. Ma Sir Alan, osservando da vicino la rivoluzione informatica che stava nascendo in Inghilterra (BBC, Sinclair) e negli Stati Uniti (Commodore e una miriade di piccole aziende piene di idee), decise che era ora di buttarsi in quel mercato.
Nel 1983 commissionò un’analisi costi-benefici sui computer concorrenti. I risultati furono chiari: c’era spazio per un computer all-in-one, con registratore a cassette integrato e monitor incluso, 64 KB di memoria, processore Z80 (sviluppato da Federico Faggin, e lo ripeto ogni volta con orgoglio), e soprattutto a un prezzo accessibile.
Nel 1984, ad aprile, il progetto fu presentato. A giugno iniziarono le vendite: CPC 464, con monitor monocromatico o a colori. Fu un successo clamoroso. Il registratore a cassette integrato semplificava la vita all’utente medio, e la possibilità di scegliere tra due tipi di monitor copriva ogni fascia di utenza.
Solo di quel modello, oltre due milioni di esemplari venduti.
Nel 1985 uscì il CPC 664, con floppy disk da 3 pollici integrato, sempre con 64 KB di RAM. Ma nello stesso anno arrivò la vera rivoluzione: CPC 6128, con 128 KB di RAM, floppy drive da 3", e la possibilità di far girare il sistema operativo CP/M. Un salto qualitativo enorme, sia lato hardware che firmware.
Sempre a metà degli anni ’80, Sir Alan decise di puntare anche sul mercato degli uffici.
Nacque così la serie Amstrad PCW – Personal Computer Wordprocessor, pensata per sostituire le macchine da scrivere. Tutto era contenuto nel case del monitor: scheda madre con Z80, uno o due floppy da 3", stampante inclusa, e sistema operativo CP/M Plus. I modelli furono: PCW 8256, 8512, 9512, 9256, PCW10, PCW16.
Ne furono venduti oltre 8 milioni di esemplari.
Poi arrivarono gli anni difficili.
Tra il 1989 e il 1990 Amstrad tentò di rilanciare la linea CPC con i modelli 464 Plus e 6128 Plus, dal design completamente rinnovato, ispirato all’Amiga e all’Atari ST. Ma, purtroppo, montavano ancora il caro vecchio Z80 a 8 bit in un’epoca in cui la battaglia dei 16 bit era già in corso… e in parte, persino conclusa.
Una scelta che oggi possiamo definire audace… o semplicemente tardiva.
Sir Alan, osservando l’avanzata inarrestabile dei PC IBM compatibili, decise di cambiare rotta.
Abbandonò i CPC, i PCW e tutte le macchine Z80 per concentrarsi sui compatibili PC, iniziando con i modelli PC1512 e PC1640, anch’essi molto popolari in Europa.
E a proposito di Amstrad, un piccolo ricordo personale: a fine 1987 acquistai un Amstrad PC 1640, con due floppy da 5¼". All’epoca era una macchina che mi sembrava proiettata nel futuro.
Ma dopo poco mi stufai di fare il disk jockey ogni volta che serviva un programma o un file, e così montai un hard disk Seagate da 20 MB (MB = MegaByte), che allora sembrava sconfinato. Un abisso di spazio, capace di contenere l’impossibile.
Erano altri tempi, certo. Ma la voglia di smanettare, capire, ottimizzare… quella non è mai cambiata.
Perché certi amori non si spengono, restano lì, tra un prompt lampeggiante e una manciata di byte, pronti a riaccendersi alla prima scintilla.

Paolo Borzini

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