Distopia Democratica: Riflessione ulteriore.

 Distopia Democratica: Riflessione ulteriore.


BLOG di Paolo Borzini

Riassumiamo e rivediamo quello che ho scritto negli articoli precedenti. Viviamo in un’epoca che, a ben guardare, assomiglia sempre più a quelle distopie che leggevamo nei romanzi, con una differenza fondamentale: qui non c’è bisogno di polizia segreta, di teleschermi o di roghi di libri. Il controllo si è fatto più sottile, più gentile, quasi invisibile. E forse è proprio questo il problema.

Prendiamo l’informazione, per esempio. Una volta, nei regimi autoritari, la censura era diretta: i libri venivano bruciati, le voci scomode messe a tacere. Oggi non serve più. Basta inondare il mondo di notizie false, contraddittorie, di algoritmi che ci mostrano solo ciò che vogliamo sentire. La verità non viene negata, ma sepolta sotto una montagna di rumore. E così, senza nemmeno accorgercene, perdiamo la capacità di distinguere tra realtà e finzione.

Lo stesso vale per la libertà. Ci illudiamo di essere liberi perché possiamo scegliere tra mille prodotti, mille partiti, mille opzioni. Ma se tutte queste scelte sono controllate dalle stesse élite, dalle stesse multinazionali, dalle stesse logiche di mercato, quanto è reale la nostra libertà? Votiamo, ma i politici sembrano tutti uguali. Critichiamo, ma il sistema trasforma ogni protesta in uno slogan da vendere. Persino il dissenso è diventato un prodotto.

E poi c’è la tecnologia, che avrebbe dovuto renderci più liberi e invece ci ha resi più controllati. Accettiamo di essere monitorati in ogni istante, pur di avere comodità come pagamenti veloci o sconti personalizzati. Regaliamo i nostri dati senza pensarci, salvo poi scoprire che vengono usati per manipolarci, per venderci qualcosa, per decidere se siamo degni di un prestito o di un lavoro. Non serve un Grande Fratello che ci osserva: siamo noi a consegnargli gli occhi.

E intanto, mentre il mondo brucia e le disuguaglianze crescono, ci distraiamo con intrattenimenti infiniti, con dibattiti vuoti, con guerre tra poveri alimentate ad arte. Siamo così impegnati a scrollare uno schermo che non ci accorgiamo di quanto stiamo perdendo.

Forse la vera differenza tra le distopie dei libri e la nostra è che quelle erano imposte con la forza, mentre la nostra l’abbiamo costruita noi, pezzo per pezzo, senza nemmeno rendercene conto. Abbiamo scambiato la libertà per comodità, il pensiero critico per like, la comunità per connessioni virtuali.

E allora la domanda non è più se siamo già in una distopia, ma se saremo capaci di uscirne. Per farlo, forse, dovremmo iniziare a guardare il mondo con occhi diversi. A fare domande scomode. A ricordarci che la libertà non è un diritto garantito, ma qualcosa che va difeso ogni giorno, anche quando sembra che nessuno voglia rubarcela. Perché a volte, il controllo più pericoloso è quello che non vediamo.

Paolo Borzini
Prossimamente: "La Scomoda Verità di Chi Vede Troppo"


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