Distopia Democratica

BLOG di Paolo Borzini

Poche volte come oggi trovo così urgente e interessante il tema dell’evoluzione delle nostre democrazie occidentali verso una forma di distopia “morbida”. Anche se non ce ne accorgiamo, viviamo in uno scenario in cui il controllo sociale non si manifesta più con la violenza esplicita, ma attraverso meccanismi molto più sottili, quasi invisibili. Oggi, l’idea di una distopia democratica non è affatto assurda come potrebbe sembrare. Le forme di controllo avvengono principalmente attraverso il consenso, piuttosto che con la coercizione diretta. Ormai non abbiamo più bisogno di censure esplicite quando possiamo sommergere le persone di un'informazione così abbondante e confusa da rendere difficile distinguere il vero dal falso. Gli algoritmi dei social media polarizzano l'opinione pubblica, creando realtà parallele in cui ognuno vede confermate le proprie convinzioni. Allo stesso modo, invece di proibire determinati comportamenti, questi vengono lentamente normalizzati attraverso incentivi o pressioni sociali. Forme di credito sociale "soft" sono già presenti in Occidente nella nostra reputazione online o negli scoring bancari.

La tecnologia gioca un ruolo fondamentale in questo processo. In Europa esistono già strumenti di sorveglianza diffusa come telecamere con riconoscimento facciale o il tracciamento capillare dei pagamenti digitali. La differenza rispetto a regimi come quello cinese sta nel fatto che qui tutto viene giustificato in nome della sicurezza o della comodità. L'infrastruttura tecnologica per un controllo totale esiste già, solo che è più discreta e apparentemente volontaria.

Quella che viviamo è un'autonomia spesso solo apparente. Abbiamo l'impressione di poter scegliere, ma molte opzioni sono già preconfezionate da élite politico-economiche. I partiti si assomigliano sempre di più nei programmi, pochi grandi oligopoli digitali dominano il mercato dell'informazione, e la partecipazione politica reale si svuota progressivamente, come dimostrano l'astensionismo record e l'ascesa dei populismi che sfruttano questa frustrazione.

Parallelamente, una distrazione di massa costante ci allontana dai veri problemi strutturali. Piattaforme come TikTok o Netflix offrono intrattenimento iper-personalizzato che ci isola in bolle confortevoli. I dibattiti pubblici si riducono a scontri superficiali, mentre questioni cruciali come la crisi climatica o le disuguaglianze crescenti restano sullo sfondo.

Questo scenario è particolarmente subdolo proprio perché si sviluppa nelle democrazie occidentali. Nelle autocrazie asiatiche il controllo è esplicito e la resistenza altrettanto chiara. Da noi, invece, il potere agisce principalmente attraverso la persuasione. Ci sentiamo liberi, ma siamo costantemente guidati da algoritmi che decidono cosa vediamo e leggiamo. Anche quando critichiamo il sistema, questo ha la capacità di assorbire e neutralizzare il dissenso, trasformandolo spesso in semplice merce da vendere.

Gli esempi concreti non mancano: accettiamo con leggerezza carte di credito e app di tracciamento, salvo poi stupirci quando questi stessi strumenti vengono usati contro di noi per pubblicità mirate o per calcolare i premi delle nostre assicurazioni. Le crisi ambientali vengono affrontate con operazioni di greenwashing piuttosto che con cambiamenti radicali. Strumenti di democrazia diretta come i referendum - si pensi a quello sull'acqua pubblica o al nucleare in Italia - vengono regolarmente ignorati o aggirati da lobby potenti.

In conclusione, questa forma di distopia democratica è particolarmente insidiosa proprio perché inconsapevole. Le democrazie occidentali hanno a lungo creduto di essere immuni al totalitarismo, mentre in realtà lo hanno solo trasformato in qualcosa di più liquido e meno riconoscibile. I romanzi distopici del Novecento ci avevano avvertito: Orwell con il controllo totale dell'informazione, Bradbury con la distruzione della cultura, Atwood con la teocrazia patriarcale. Oggi non viviamo in quelle distopie, ma vediamo chiaramente come molti di quei meccanismi si stiano adattando alla nostra realtà.

La domanda cruciale diventa allora: come resistere? Forse la risposta sta in una maggiore consapevolezza, nell'uso critico della tecnologia senza esserne schiavi, e nel ritorno a forme di comunità reale che vadano oltre il dibattito virtuale. Perché il pericolo più grande, in fondo, è non accorgersi che il controllo c'è già. 
Solo che non lo chiamiamo più così.

Paolo Borzini
Prossimamente: "Distopia Democratica: Riflessione ulteriore."

Commenti

Post popolari in questo blog

Amstrad CPC 472

Amstrad Computer

La distopia affascina?